Il continuo nascondino del paradosso della libertà nella dialettica e nella retorica patriarcale.
Libero arbitrio, libertà personale, libertà sessuale, libertà di genere, libertà di voto, libertà di parola e di espressione, libertà vigilata e mercato libero. Siam tutti liberi di fare quello che ci pare, gli animali vanno lasciati in libertà e mentre la libertà di fare qualcosa ce la si prende da soli, dalla prigionia si esce quando la libertà viene data. Il tempo libero, invece, non lo da’ nessuno, c’è e basta.
Utilizziamo una singola parola, arricchita di tutti i significati retorici, storici e semantici, per descrivere tutte le diverse concretizzazioni o astrazioni del senso stesso dell’essere “liberi”, alcune di natura individuale, altre di natura sociale, altre nel contesto politico e altre ancora radicate nel contesto dell’economia.
Nella lingua inglese esistono invece due parole distinte entrambe colloquialmente tradotte nella parola Italiana “libertà” : freedom e liberty.
Nel tentativo di identificarvi una differenza universalmente comprensibile, descriveremo – traendo ispirazione dal filososofo Hegel – la parola “Freedom” come “libertà astratta” e “Liberty” come “libertà concreta”.
Questa circoscrizione di due concetti chiave nel significato di libertà permette di instaurare un discorso sul paradosso tra astrazione e concretezza della stessa nel contesto sociale.
Da questo pensiero, mescolato arbitrariamente con alcuni tratti dal saggio “Storia Politica Del Femminicidio” di Alessia Piccirillo, nasce il fil rouge che andrá ad accompagnare il lettore durante la lettura di questo articolo, nel tentativo non vincolato di fare luce sul significato stesso del concetto di libertà.
Per introdurre il discorso, si adatta meravigliosamente un breve scambio di battute del film Ninotchka, Pellicola del 1939 diretta dal regista Tedesco-Americano Ernst Lubitsch:
Protagonista – caffè senza crema grazie.
Barista – Mi spiace, ma non posso farle un caffè senza crema, siccome abbiamo finito la crema. Abbiamo però del latte, se preferisce posso farle un caffè senza latte.
In questo discorso si fa luce su quello che credo essere un punto sostanziale e fondamentale per comprendere la natura del paradosso in cui la parola libertà rimane vittima della sua intrinseca dualità tra concreto e astratto. Ad esempio è in questo paradosso che il movimento ideologico femminista si scontra nel tentativo di esporre le proprie necessità.
Il caffè è un caffè e basta. Non è necessaria un opinione istituzionalizzata o scientifica per capire che il risultato dell’avere un caffè senza crema, o un caffè senza latte, è il medesimo – ovvero quello di ottenere un “caffè”.
È dunque esatta quanto ignorabile l’incompletezza che sta nell’identificare come caffè il “caffè” e non i potenzialmente infiniti altri ingredienti che non ne fanno parte.
Questa esemplificazione di per se’ innocua, ha peró diverse conseguenze potenzialmente devastanti per tutte le realtá in cui la concretizzazione di questi ingredienti astratti é fondamentale indipendentemente dalla loro presenza o assenza nel concreto.
Ad Esempio: la donna nella società patriarcale si ritrova a ricoprire, in diversi periodi storici, questa posizione di mancanze, in cui viene socialmente accettata e supportata la realtà per cui la donna è inequivocabilmente donna, ignorandone dunque i virtualmente infiniti altri ingredienti, potenzialmente inclusibili nell’identità di donna.
Nasce quindi la necessità da parte di una donna di essere riconosciuta socialmente – non solo come donna – ma anche come donna senza una determinata quantità di opportunità e caratteristiche, associate ad esempio alla figura di uomo, nella loro presenza in alcuni uomini e accettate nella mancanza in altri. Una donna-caffè senza latte e non solo una donna-caffè.
Si pensi anche solo alla figura retorica del “Uomo senza palle”, in cui la figura rappresentativa del coraggio e della virilità viene legata metaforicamente ai testicoli, creando un abbinamento tra il sesso maschile e la presenza delle suddette caratteristiche, escludendo la figura di donna – prima biologicamente – e di conseguenza socialmente. La donna biologica nasce senza testicoli, non è quindi necessario descrivere una donna includendo la sua assenza di testicoli – ne consegue l’esclusione a priori la possibilità di avere (metaforicamente) “palle”.
Appare a questo punto evidente la scomodità della dialettica nel percorso di ricerca di questa incompletezza nella propria identità, come esposto da alessia nelle note sulla non congruenza tra la politica femminista e le definizioni del femminismo stesso, la ricerca identitaria può cascare vittima di se’ stessa. Chi può definire la libertà di una donna in un contesto in cui non ne viene compresa la mancanza di ingredienti per raggiungere un significato di donna accettato e supportato socialmente?
facendo un passo rischioso in una mia percezione, piuttosto che in uno studio statistico, mi sento di poter presentare due macro-categorie del prototipo di ideologie di indirizzo femminista.
Una che identificheremo come il femminismo capitalista e l’altra che andremo ad indicare come femminismo individuale.
Il primo nasce da una richiesta di stampo appunto capitalista, dunque ad esempio di essere donna madre ma anche manager, di essere non sposata ma accettata socialmente come individuo senza figli, di essere donna ma anche lavoratrice, in carriera o in politica, comunque rispettando e pareggiandosi all’interno di un contesto già esistente di un sistema ideologico di stampo gerarchico, attivo e consolidato (di conseguenza non prettamente di stampo capitalista – ad esempio lo stesso ragionamento lo si può anche estendere al sistema ideologico della religione)
In quello che definirei come femminismo individuale nasce invece una necessità di parità – e di conferme che ne convalidino l’effettiva eguaglianza di opportunità e percezione – nel contesto individuale, non legato all’accettazione sociale come inclusione in una retorica d’altri, ma legato ad una più concreta e tangibile distribuzione delle opportunità. Non nell’accettazione nel contesto socio-politico, ma nella presa posizione. Si traduce dunque in un avere potere, non in una concessione (quindi astratta) dell’opportunità di averlo. Il tutto si definirebbe dunque NON nella possibilità di essere caffè o caffè senza qualcosa, ma nella libertà stessa di scegliere, capire e definire cosa appunto manca nella propria realtà di essere caffè senza qualcosa piuttosto che qualcos’altro.
Ho giá anticipato la definizione e differenza tra le parole liberty e freedom.
La libertà astratta (freedom) è spesso garante del fatto che tale libertà non verrà sfruttata. Esprimere una propria libertà astratta, porta alla consapevolezza di essere liberi, ma libera (mi scuso per lo sfortunato gioco di parole) dalla responsabilità di agire su tale libertà.
Ad esempio:
Molti fumatori vogliono smettere di fumare, alcuni di questi, se non la maggioranza, credono di poter smettere quando vogliono.
Di per se’ la frase non è sbagliata, seppure evidente l’omissione della difficoltà di interrompere quello che oramai è scientificamente provato essere una dipendenza. Il pericolo di questa astrazione della libertà si rivela invece sull’agire, per cui il fumatore, cosciente di questa opportunità ma privo di responsabilità dirette nel prendere una decisione, continua a fumare, o smette, per poi ricominciare magari anche dopo anni.
Se un fumatore avesse la libertà di scegliere se continuare a fumare o smettere, ma ci fosse una qualche entità che gli impedisse di tornare indietro sulla decisione presa, il fumatore approccerebbe la sua libertà in modo completamente diverso. Svanirebbe completamente la sua possibilità di essere libero nella sua astrazione di poter liberarsi del fumo con la possibilità di ricominciare a scelta, perderebbe quindi la sua libertà astratta, ma ne guadagnerebbe la sua libertà concreta.
Nel sociale, oltre alla propria libertà concreta esistono infiniti teatrini di libertà astratte, gentilezze e cortesie, tradizioni e usi e costumi costruiti per de-concretizzare e a volte reindirizzare la libertà di qualcuno, creando effettivamente un labirinto di astrazione per cui il significato stesso di libertà viene manipolato o forzato in determinate direzioni, come può essere la libertà (freedom) in alcuni stati dell’America di portare appresso un arma, ma non di avere una sanità pubblica e gratuita.
Il filosofo Sarter, scrive che i Francesi non sono mai stati così liberi tanto quanto sotto l’occupazione tedesca, trattasi di libertà concreta, scatenata da una crisi di perdita della libertà astratta. Il risultato diventa quello di radicalizzare la scelta di combattere, non per mantenere una astrazione libera, ma una concretezza della – propria – libertà. La concretizzazione, vissuta individualmente e resa conscia dai limiti evidenti (conseguenze esterne) porta ad un violare le regole sociali di cortesia e struttura imposta da entità non facenti parte dell’individuo (ribellione e contrasto). Nonostante esternamente appaia evidente la “non-libertà” della nazione occupata – in quanto appunto, occupata.
L’acquisto di “x” (Ex Twitter) da parte di Elon Musk rappresenta esattamente come questo genere di contrasto paradossale trascenda i limiti del materiale. la dichiarazione ora esplicita di trasformare twitter in un progetto ora più economicamente sostenibile, ha immediatamente scatenato negli utenti una percezione di perdita di libertà astratta, ne é quindi conseguito un condividere questa esatta percezione sullo stesso media che si critica per aver scatenato tale perdita. Questo meccanismo si trasforma in un affittare bacheche online di proprietà di altri – su cui affiggere il proprio messaggio di sconforto nei confronti del dover affittare bacheche online di proprietà di altri, e ciò che consegue da questa privatizzazione di tali bacheche – che sia ben chiaro – sono sempre state private, ma forse mai abbastanza libere da esprimere un proprio concetto privatizzato di ciò che sta dietro la loro personale (o istituzionata) definizione di libertà. E ora che sono libere (astratte) abbastanza per dichiararlo, non sono più sufficientemente libere (concrete) per essere percepite come tali.